Immagino che davanti a quella pietra sarebbe necessario fermare l’intera linea, comunicare il problema al supervisore, che avrebbe chiamato esperti per esaminare l’ostacolo, che avrebbero pianificato un nuovo percorso o provveduto a rimuovere la pietra. Nel frattempo, l’intera organizzazione sarebbe andata nel panico, perdendo tempo e denaro.
La verità è che siamo vittime della pianificazione e del controllo. Ci piace organizzare e gestire. Costruiamo gerarchie che stabiliscono protocolli di governance, canali di comunicazione che controllano la direzione e il tipo di informazioni in entrata e in uscita, ruoli predeterminati e uffici che svolgono i loro compiti con poca o nessuna relazione con le altre parti del sistema.
In altre parole, trattiamo le nostre organizzazioni come sistemi chiusi.
La verità è che il modo in cui trattiamo le organizzazioni e la loro vera natura sono estremamente differenti. Qualsiasi sistema, naturale o sociale, è in realtà aperto e complesso: non è solo interconnesso con l’ambiente esterno, ma è anche costituito da relazioni interne che ne determinano la forma, mutando costantemente.
Proprio come le formiche, anche i sistemi umani sono intrinsecamente auto-organizzati. E la loro natura non cambierà: la chiave di tutto sta nella nostra capacità di ammetterlo e iniziare a trattarli per quello che sono.
Se facessimo questa prima onesta ammissione capiremmo che tutto il tempo speso nella pianificazione e nell’organizzazione è nel migliore dei casi uno spreco e nel peggiore dei casi un vero e proprio atto autodistruttivo progettato per ridurre drasticamente il livello di prestazioni che il sistema potrebbe raggiungere se non si fosse bloccato da solo.
Ogni innovazione è, almeno inizialmente, un’anomalia: letteralmente qualcosa al di fuori della legge (a-nomos, in greco). Tuttavia, continuiamo a costruire le nostre organizzazioni su leggi rigide. Trovo questo non solo controproducente, ma in tutta onestà stupido.
Una volta compresa l’importanza dei sistemi auto-organizzati, la riflessione che sorge è: i sistemi auto-organizzati sono per definizione qualcosa che emerge spontaneamente. Possiamo creare volontariamente sistemi auto-organizzati?
La risposta a questa domanda è sì.
Per quanto riguarda come farlo, la mia fonte più importante è il libro di Harrison Owen “Wave Rider. Leadership for High Performance in a Self-Organizing World“, ma la questione è ora una delle più discusse ed è facile trovare spunti interessanti in altri testi, uno tra tutti “The power of pull” di John Hagel, John Seely Brown e Lang Davison.
Penso però che ci sia un fattore umano fondamentale, necessario anche se probabilmente non sufficiente, per la creazione di sistemi auto-organizzanti: la passione.