
La parte più potente del nostro cervello
La parte più potente del nostro cervello Perchè non la stiamo usando e perché dovremmo. Tempo fa ho letto un tweet di Richard D. Bartlett
C’è una cosa che sembra essere la rivelazione di questo secolo. Si tratta della consapevolezza che “l’unica costante è il cambiamento”. Questa frase è frutto del nuovo millennio e dei continui cambiamenti che stiamo vivendo in questi anni. Giusto?
Sbagliato.
Questa è una frase di Eraclito di Efeso, un filosofo greco vissuto circa 500 anni prima di Cristo.
E addirittura mezzo millennio prima di lui, in Cina, è stato scritto l’I Ching (conosciuto come “Libro dei mutamenti”), che vede il cambiamento come una dinamica intrinseca ad ogni aspetto della vita.
Il cambiamento è dunque qualcosa che da sempre l’uomo ha visto come inevitabile, come una questione naturale. Perché allora si ritiene che la costante del cambiamento sia una caratteristica nuova?
Credo la ragione sia in larga parte dovuta al fatto che le organizzazioni in cui tutt’ora siamo inseriti sono nate e cresciute nell’unico momento dell’intera storia umana in cui l’incertezza e la complessità di mercati e società si è abbassata a tal punto da non richiedere attenzione al concetto di cambiamento. In altre parole e semplificando, nel ‘900 si poteva rimanere uguali a se stessi senza che questo fosse un problema e, anzi, il progettare organizzazioni in grado di essere stabili era un vantaggio competitivo.
Oggi, risvegliatici da questa singolare condizione di prevedibilità, il concetto di cambiamento sta tornando a galla in modo rilevante.
E insieme al concetto di cambiamento è diventato incredibilmente diffuso il concetto di resistenza al cambiamento.
RESISTENZA AL CAMBIAMENTO
Lavorando con organizzazioni di ogni dimensione e in ogni mercato, mi è capitato spesso di sentire chiedere come evitare, superare o vincere la resistenza al cambiamento. Come possiamo convincere le nostre persone che il cambiamento è buono?
Basta poi fare una semplice ricerca su google per vedere come le parole più spesso associate a “resistance to change” sono: manage, deal e overcome (gestire, trattare e sconfiggere).
E da un punto di vista logico tutte queste domande hanno senso: se il cambiamento è intrinseco ad ogni aspetto della vita, la resistenza al cambiamento non è altro che un ostacolo al naturale fluire delle cose. Giusto?
Sbagliato.
MACCHINE vs SISTEMI VIVENTI
Vorrei partire dall’osservazione che le nostre organizzazioni non siano sistemi complicati ma complessi.
Forse molti di voi hanno già chiara la differenza tra questi due concetti, ma la mia esperienza mi dice che la maggior parte dei manager e degli imprenditori con cui ho lavorato non hanno mai avuto modo di soffermarsi su questa semplice ma rilevante osservazione.
Esistono a tal riguardo infiniti modelli teorici e pratici, ma opterò qui per la sintesi.
Complicato = dal latino “cum + plicatus” significa piegato insieme. È qualcosa di non facile comprensione, è intricato. Ma essendo cum-plicatus può essere ex-plicatus, spiegato, cioè si può far sì che ciò che prima non era comprensibile sia compreso e reso visibile. Un aeroplano, un pianoforte, un orologio sono sistemi complicati.
Complesso = dal latino “cum + plexus” significa intrecciato insieme. C’è qui un elemento fondamentale: la relazione. Un sistema complesso non può essere spiegato, non può essere compreso, poiché le relazioni sono ciò che caratterizzano il sistema, non le sue parti. E queste relazioni sono infinite e in continua evoluzione. Un banco di pesci, il nostro organismo, una famiglia sono sistemi complessi. Le nostre organizzazioni sono sistemi complessi.
Come ci è utile questa differenza?
Usando le parole di Fritjof Capra:
Abbiamo qui a che fare con una differenza cruciale tra una macchina e un sistema vivente. Una macchina può essere controllata; un sistema vivente può essere solo disturbato. Ciò implica che le organizzazioni umane non possono essere controllate attraverso interventi diretti, ma possono essere influenzate dando impulsi anziché istruzioni. Non è un problema di forza o energia; il problema è nel significato. Disturbi significativi attireranno l’attenzione dell’organizzazione e provocheranno cambiamenti strutturali.
In realtà, le persone non resistono al cambiamento; resistono al fatto che il cambiamento sia loro imposto. Essendo vivi, gli individui e le loro comunità sono sia stabili che soggetti a cambiamenti e sviluppi, ma i loro processi di cambiamento naturale sono molto diversi dai cambiamenti organizzativi progettati da esperti di “re-ingegnerizzazione” e imposti dall’alto.
IL PROSSIMO PASSO NATURALE
Questa consapevolezza del fatto che un’organizzazione sia un sistema vivente complesso e non una macchina è alla base di una domanda che in Cocoon Pro ripetiamo a noi stessi continuamente lavorando con i nostri clienti: “qual è il prossimo passo di evoluzione naturale per questo sistema umano?”.
Questa è una domanda estremamente potente, che ci porta ad osservare il sistema nella sua interezza e che richiede maestria e un profondo lavoro di ascolto e sense-making.
Al di là della conoscenza di strumenti, processi, tecniche e metodi, il lavoro più difficile e al contempo più stimolante per me è rispondere a questa domanda.
UN CAMBIO DI PROSPETTIVA
Ma se anche riusciamo ad individuare qual è il prossimo passo naturale per la nostra organizzazione, ci saranno sempre parti del sistema che tenderanno a resistere. Questo avviene per moltissime ragioni, ed è a queste ragioni che dobbiamo guardare se vogliamo che tale cambiamento avvenga davvero.
La resistenza diventa quindi un alleato prezioso, un dono che ci informa sui possibili scenari nascosti del cambiamento; scenari che non vedremmo mai se parti del sistema non manifestassero i loro dubbi.
Diviene quindi fondamentale aprire lo spazio ad eventuali scetticismi. Uno spazio che può sì essere creato all’occasione ma sarà tanto più efficace, vero e profondo tanto più la cultura dell’organizzazione sarà in grado di prevedere l’ascolto come una pratica consolidata e presente nella vita lavorativa di tutti i giorni.
La resistenza al cambiamento è dunque il modo naturale attraverso cui reagiamo ai cambiamenti nel nostro ambiente per preservare la nostra identità, individuale e del gruppo di cui facciamo parte. Allenarci a nutrire tale istinto può essere in molti casi la differenza che fa la differenza.
PER CONCLUDERE
Il cambiamento non è mai un’azione puntuale, ma è influenzato tanto dal passato quanto dal futuro del sistema in cui esso si manifesta. È nostra responsabilità riconnetterci con il significato profondo che un cambiamento porta con sé affinché non sia solo innovazione ma sia vera evoluzione, che porti l’organizzazione ad essere la migliore espressione di sé nel suo continuo divenire.
Per queste ragioni, il mio augurio in questo primo articolo del 2019 non è rivolto al cambiamento, essendo questo naturalmente presente in ogni sistema umano, ma è di poter comprendere dove il vostro sistema a fronte del prossimo cambiamento sta manifestando resistenze, per poterle accogliere e utilizzare per il bene di tutta l’organizzazione.
“Ciò che si oppone converge, e dai discordanti bellissima armonia.”
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La parte più potente del nostro cervello Perchè non la stiamo usando e perché dovremmo. Tempo fa ho letto un tweet di Richard D. Bartlett
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