
La parte più potente del nostro cervello
La parte più potente del nostro cervello Perchè non la stiamo usando e perché dovremmo. Tempo fa ho letto un tweet di Richard D. Bartlett
Ti sei mai chiesto perché nonostante tu viva nell’era dell’automazione, sei continuamente sotto stress e senza tempo a disposizione?
Oggi per fare un acquisto basta un clic e lo ricevi a casa senza nemmeno toglierti il pigiama. Per parlare con un amico è sufficiente far partire una videocall, anche questa senza togliere il pigiama. Per le riunioni di lavoro c’è Zoom, dove del pigiama puoi tenere solo i pantaloni, ma mi sembra comunque una grande conquista dei nostri tempi!
Questo, però, non è un articolo sulle cose che puoi fare in pigiama. È un articolo sulle cose che puoi fare in un attimo, che prima avrebbero richiesto ore. O cose che puoi fare in ore che prima avrebbero richiesto giorni. Come fare un viaggio da Roma a New York. O guardare un film su Netflix, comparato al tempo necessario per andare al cinema o – peggio ancora – scaricarlo da eMule per poi rendersi conto di aver scaricato Porcahontas invece di Pocahontas, interrompendo (o accelerando) bruscamente la crescita dei propri cuginetti o nipotini. Se non sai di cosa io stia parlando, probabilmente sei molto anziano o incredibilmente giovane!
Sì, insomma. Questo è un articolo che vuole rendere evidente come viviamo in un epoca in cui i successi della tecnologia dovrebbero aver liberato quantità enormi di tempo. Così tanto che dovremmo poter raggiungere gli stessi risultati lavorando 1/10 del tempo. Dovremmo avere così tanto tempo libero da vivere in vacanza 9 mesi l’anno. E invece no. Eccoci qui. Costantemente sotto pressione per le scadenze impellenti e gli impegni urgenti. Costantemente accompagnati dal “le giornate dovrebbero durare 48 ore“.
Il problema. Quello vero.
Il vero problema, evidentemente, non è negli strumenti di cui disponiamo per ottimizzare e perfino automatizzare le azioni che siamo chiamati a svolgere. Oggi la tecnologia permette di schedulare le email, i post sui social, i messaggi su Telegram (mentre whatsapp resta indiscutibilmente indietro, poveri stolti), vedere i contenuti on-demand, e sì, insomma, gestire il proprio tempo liberamente.
Decisamente non è la tecnologia il problema. Non sono gli strumenti. Siamo noi!
Noi, e la nostra tendenza sconsiderata a dire di sì.
Siamo dei primati, d’altronde. Se ci offrono una banana non sappiamo resistere. E siamo dei primati ancora immersi nell’era del capitalismo e del consumismo, dove più accumuli, meglio è. Più prendi, più vali. Più hai, più ti senti appagato e più adrenalina viene rilasciata, innescando meccanismi fisiologici di ricompensa che si autoalimentano, portandoti a volerne ancora di più.
Aggiungiamoci anche la pressione sociale e il piatto è pronto. Se diciamo di no, rischiamo di ferire l’altra persona. Un retaggio culturale e religioso che ci impone di essere accondiscendenti verso le richieste altrui. E il senso di colpa ci assale al solo pensiero di poter dire un no a qualcuno.
Ti inizia a sembrare uno scenario familiare?
Sei costantemente sotto pressione dalla biologia, dalla società, dalla cultura e dall’etica. Una pressione continua a dire sì.
Se non fosse che, mentre il mondo intorno a noi si ostina a chiedere, il nostro personale hardware non è progettato per sostenere questa pressione. Siamo primati sì, ma non viviamo più in un’epoca in cui le uniche preoccupazioni erano raccogliere cibo e proteggersi dagli attacchi di nemici e bestie feroci.
La società di oggi è molto più complessa, seppure per molti versi meno pericolosa. Le relazioni che siamo chiamati a nutrire e sostenere sono diversi ordini di grandezza più numerose e più veloci.
Siamo come un bambino di 10 anni messo a dibattere di meccanica quantistica. Un compito troppo arduo, a cui il povero malcapitato risponderà o con ansia e forte disagio o semplicemente negando il suo compito e aspettando passivamente che la seduta si sciolga.
Noi ci troviamo esattamente in quella condizione. Molti cercano di sostenere la pressione pagandone lo stress e l’ansia collegate, pochi ce la fanno davvero, molti semplicemente si arrendono e vivono una vita passiva, senza nemmeno provare a sostenere il ritmo, rifugiandosi nel “una volta si stava meglio”.
Una via d’uscita
Durante una recente trasferta di lavoro, la proprietaria del B&B in cui alloggiavo, in merito al Covid mi ha detto:
Ci voleva davvero. Il mondo stava correndo un po’ troppo. E molte persone stavano rimanendo indietro.
Mi ha colpito molto la serenità con cui questa signora affermava questo semplice ma potente punto di vista. Per di più, da una rappresentante di una categoria fortemente colpita da un punto di vista economico.
Stavamo correndo troppo. Sì.
La tecnologia, che ha reso tutto così veloce, non ha avuto come effetto quello di aprire spazi in cui poter rallentare proprio in virtù del fatto che i sistemi tecnologici avrebbero corso al posto nostro. Il vero effetto ottenuto è che ci siamo messi a correre anche noi. Una corsa forsennata, in cui ci siamo persi molto della profondità dei nostri cammini.
Cosa possiamo fare di questa consapevolezza?
Rallentare, ma con metodo.
Se, infatti, rallentassimo in modo repentino e disorganizzato rischieremmo di finire totalmente fuori strada. Non puoi premere di botto il freno di un’auto che viaggia a 200km/h. Devi accompagnare morbidamente la frenata o rischi di farti male.
Occorre quindi imparare a togliere. Imparare a dire no nel modo giusto.
L’importanza di dire no. Quelli giusti.
C’è stato un tempo in cui il “no” è stato fondamentale per la nostra crescita. Ogni genitore sa che intorno ai 2 anni (non a caso detti “the terrible two”, i terribili due) i bambini acquisiscono una sorta di abitudine ad opporsi. Dire no diventa la norma. Ci si oppone alle richieste scomode dei genitori, ma ci si oppone anche a ciò che fino a poco prima sembrava fosse apprezzato.
Il punto è che quel “no” ha un significato simbolico ed evolutivo. Non si dice “no” all’oggetto della conversazione. Si dice “no” come mezzo per dimostrare la propria identità, che inizia ad acquisire valore nella mente del bambino. Io non sono te, e te lo dimostro. Io non sono te, e quindi decido io cosa è meglio per me, non tu.
Inizi a sentire quel senso di nostalgia nel voler tornare lì? Quell’invidia di quando potevi dire di no a tutto ciò che non era veramente tuo. A tutto ciò che veniva dalla pressione sociale.
Tornando alla nostra età adulta, è evidente come il “no” ha assunto un’accezione totalmente diversa. Non più una testimonianza di ciò che io ritengo sia meglio, ma un’accondiscendenza a ciò che gli altri ritengono sia meglio.
Fortunatamente esiste uno spazio magico tra l’io e l’altro, che ci consente di accettare tutte quelle richieste che accadono nello spazio della relazione reciproca. Si tratta di uno spazio che io chiamo “ecoismo”. Uno spazio in cui non agisco solo per un beneficio personale ed egoistico, ma nemmeno per una completa dipendenza altruistica.
Ecoismo è sentirsi come un’unica entità che agisce per il bene dell’intero sistema e come conseguenza di ciò anche le parti ne traggono vantaggio.
Ecco perché dire “no” è fondamentale. Non si tratta di egoismo, ma di focalizzare le energie in ciò che è più di valore per il sistema di relazioni in cui ognuno di noi vive. È trascendere la stessa separazione io-altro, per ricomprendere entrambi in un senso più ampio.
Per fare questo, dunque, non basta dire no. Bisogna dirlo in modo attento, focalizzato, chirurgico. Ci vuole molta disciplina per dire no. È faticoso, ma ripaga.
Vediamo allora come si fa a dire no da veri professionisti.
1. Principio di Pareto
La prima cosa, fondamentale, è sapere a quante e quali cose possiamo dire di sì.
In questo ci viene in soccorso il principio di Pareto, secondo il quale l’80% del risultato viene dal 20% dello sforzo concentrato. Si tratta di un principio, non di una legge, e questo è importante precisarlo perché le due percentuali sono solo indicative. A volte potrebbe essere 80/20, altre 90/10, altre 70/30, altre 83,5/16,5. Sì, insomma, poco importa la percentuale esatta.
Ciò che importa è invece riconoscere come questo principio funziona. La maggior parte del fatturato viene da una piccola percentuale dei clienti o dei prodotti. La maggior parte della tua gioia viene da una piccola percentuale delle persone che conosci. La maggior parte dell’apprendimento nella tua vita viene da una piccola percentuale di esperienze fatte. E così via.
Ecco che quindi dovresti iniziare ad intercettare quel 20% tra tutte le cose che fai che ti sta dando l’80% del valore. Significa che 4 cose su 5 devono sparire.
Arrivati a questo punto molti staranno già pensando che è una cosa impossibile da fare e che questo articolo non è verosimile. Bene, chi l’ha pensato fa parte di quell’80% che non avrà molti benefici da questo pezzo. Per il 20% rimanente, invece, andiamo avanti.
2. Vision
Abbiamo detto che bisogna scegliere il 20% che ci porta l’80% del valore. Ma cosa per noi è di valore non è dato a priori. Per qualcuno potrebbe essere denaro, per altri serenità, per altri relazioni, avventure, crescita, gioia, you name it!
Ciò che per noi è di valore dipende dalla nostra direzione di vita, da ciò che ci guida in ogni dato momento. Se in questo momento della tua vita stai puntando sulla carriera, avrà probabilmente più valore l’apprendimento e il denaro. Se è un periodo di focus sulla famiglia forse avrà più valore il tempo libero e la serenità.
Il problema vero è che molte persone non hanno una vision. Non hanno idea di dove stanno andando. E come disse Seneca:
Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.
Non avere una vision significa essere in balia delle onde. Ne ho parlato già in un altro articolo. Quello che qui è importante è che senza una vision, non è possibile applicare il principio di Pareto. Non è possibile scegliere qual è il 20% che ci da l’80% del valore perché semplicemente non possiamo definire cos’ha più valore per noi.
Per questo, nei miei percorsi di coaching, parto sempre dall’identità attuale (conoscere chi sei) e dalla vision (conoscere chi vuoi e puoi essere).
3. Onestà
Riuscire ad applicare i primi due punti è già molta strada. Ma non viviamo in un mondo di macchine. Viviamo in un mondo di persone. E dire no a qualcuno ha sempre una sua controparte emotiva da tenere in conto. Come abbiamo detto all’inizio, la pressione sociale e le aspettative degli altri sono sempre in agguato.
Dobbiamo quindi trovare il modo di dire no senza sembrare stronzi o insensibili. Qui qualcuno starà già pensando che occorre indorare la pillola o mentire per trovare una buona scusa.
Ho imparato che, in realtà, la chiave è l’esatto opposto: essere sinceri. Brutalmente sinceri.
Dire ad una persona che non possiamo aiutarla con la sua richiesta perché stiamo tenendo dei giorni liberi per stare in famiglia va benissimo. Dire di no, giustificandolo con il fatto che ci stiamo prendendo una vacanza, è ok. Declinare un invito perché questo non è coerente con la nostra vision attuale è del tutto legittimo.
Per fare ciò è fondamentale aver prima lavorato sui due punti precedenti. Questo ti darà molta più sicurezza nel dire perché stai declinando quella richiesta. Avrai ben chiaro quali sono le regole o i principi che utilizzi per fare le tue scelte, e sarai in grado di motivarle con onestà, chiarezza e assertività, senza dover ricorrere ad imbarazzati e imbarazzanti giri di parole.
In più, oltre che togliervi dall’affanno e dal senso di colpa, questa onestà inizierà a generare una relazione in cui renderemo esplicito che una vita più sana ed equilibrata è possibile, uscendo dagli schemi patologici secondo cui il sovraccarico è percepito come una condizione inevitabile. Manderemo un segnale chiaro al nostro interlocutore che ognuno di noi può legittimamente avere altre priorità, contribuendo così ad un cambiamento nel modo stesso di percepire il mondo. Il nostro no diventa ecoista esso stesso: libera noi da un’incombenza, restituisce all’altro un feedback e una diversa epistemologia, e quindi di fatto porta l’intero sistema verso una dinamica nuova e più sana.
Insomma, se oggi viviamo nell’era in cui puoi fare un acquisto con un clic in pigiama, puoi parlare con un amico in videocall in pigiama, puoi perfino fare una riunione di lavoro in pigiama, forse è giunto il momento in cui poter dire serenamente di no. In pigiama.
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